Effetto Covid sul turismo organizzato: ricavi giù dell’81%
Una voragine senza fine accompagna la caduta del turismo organizzato italiano. Un’azienda sana, che nel 2019 fatturava 13,3 miliardi di euro e cresceva del 4,3% rispetto all’anno prima, e che nel 2021 si appresta a chiudere il bilancio a 2,5 miliardi di euro, oltre l’80% in meno rispetto al 2019.
Una caduta accompagnata da messaggi di positività legati al vivace movimento estivo, che non riguardano però il turismo organizzato. I numeri, in questa parte del comparto, non danno spazio a facile ottimismo.
Flessione delle presenze negli alberghi
Il settore alberghiero a luglio di quest’anno registrava una flessione delle presenze del 51%, che arriva al 71% se si guarda a quelle internazionali. E questo è comunque il dato migliore.
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L’outgoing, cioè il turismo in uscita dal Paese, registra una flessione del 90% sul 2019, il Mice (il ramo eventi del settore) dell’80% e il business travel del 74%.
«Per proteggersi la diversificazione non basta più -, spiega Franco Gattinoni, presidente di Fto, la Federazione del turismo organizzato -, perché il trend negativo riguarda ogni segmento e questo impedisce alle aziende del settore di compensare, come già successo in passato, le perdite di un ramo con i maggiori guadagni di un altro. Mancano poi americani e cinesi, i top spender che riempivano le strutture di lusso e che non possono essere compensati dal campeggiatore tedesco, che non è mancato quest’estate».
I freni al turismo organizzato
Insomma, se il turismo individuale può ripartire con maggiore facilità, quello organizzato, che vive di programmazione, è bloccato. Diversi i motivi. Non più la paura del virus, ma l’incertezza delle regole, in continuo cambiamento. «La mancanza di prospettiva -, aggiunge Gattinoni -, impedisce la pianificazione delle stagioni turistiche e ci fa perdere potere di acquisto rispetto ai competitor stranieri, che acquistano servizi a prezzi più competitivi grazie alla programmazione anticipata».
Alle già molteplici criticità si aggiungono i vincoli italiani di uscita, più stringenti rispetto ad altri Paesi. «La tutela della salute è prioritaria -, spiega Gabriele Burgio, presidente e amministratore delegato del Gruppo Alpitour -, ma il settore impiega migliaia di persone, molte delle quali in cassa integrazione, e le misure devono essere efficienti e giuste. Oggi gli operatori italiani subiscono un trattamento diverso e penalizzante rispetto ai competitor europei. Perché, per esempio, non possono portare gli italiani ai Caraibi o fuori dall’Europa? La conseguenza di queste regole non è equa: chi vuole partire per queste destinazioni aggira le norme e si rivolge a operatori stranieri. Oppure rinuncia, creando un danno alle imprese italiane».
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